L'alimentazione ai tempi del Covid-19



“La vita umana non si nutre solo di latte e di pane.
 Si nutre innanzitutto di segni, i segni della presenza dell’altro,

delle parole degli sguardi e dell’amore.

Senza il segno non c’è possibilità di nutrire davvero la vita umana”

(Massimo  Recalcati)
Cosa ne è oggi dei nostri segni  ? Si è posata polvere sui nostri desideri, piovigginano nebulose su  relazioni e  attività sospese. 
Siamo tutti marinai in burrasca, in attesa di una bussola e di un porto sicuro in cui approdare. Abbiamo smarrito la rotta.
Il “male invisibile” ha sollevato silenziose burrasche irrequiete portando via con se  incombenze, sguardi e abbracci calorosi consueti. Chi siamo ora che i nostri segni e le nostre presenze sono naufragate? 
Come  puntini indefiniti delineati da attese e tempi indefiniti, ondeggiamo tumultuosi al ritmo  di assenze e mancanze rimbombanti. Sognamo  nuove terre e orizzonti da cui ripartire.
Ne siamo famelici, bramiamo il ritorno di ciò  che fino a poco tempo fa ci accresceva e nutriva: 
Fame di relazione,  fame di attività. Fame di quel fruttuoso operato che stancava ma al tempo stesso  ci definiva donandoci un segno tangibile della nostra presenza ed essenza. Ed eccoci allora, tutti pronti a riempirci per ripartire: pieni i tempi, piene le attività, pieni i nostri frigoriferi e piene le nostre bocche. La rincorsa verso un infarcimento, il bisogno di un ancoraggio speranzoso che sa di lievito e farina genuina,  impasti che colmano i cuori come pagnotte calde deposte in forni divenuti ora  troppo vuoti e silenziosi.
Il languore risvegliato dai nostri giorni non deve tuttavia tramutarsi in ingordigia e voracità disfunzionale. Il trauma collettivo che stiamo vivendo ci ha costretto ad un risveglio.  Un risveglio dal quel sogno Occidentale improntato sull’individualità, la produttività smodata ed un preconcetto insano di libertà, che ci aveva  assopito e disilluso addormentando la nostra vera  natura e la nostra ricchezza più elevata: il colore delle emozioni, la bellezza delle relazioni  e il potere creativo delle nostre fragilità. 
Questo virus ci ha richiamati ad  un grande insegnamento. Ci ha costretto  a confrontarci con le nostre mancanze e con le nostre dipendenze rinvigorendo la bellezza e la valenza dell’incontro con l’altro.  Quello che stiamo  vivendo può dunque essere un insegnamento fondamentale sulla vera libertà umana, rivelata e svelata nella sua radice essenziale: la consapevolezza dell’essere NULLA senza l’altro. Nessuno può farcela da solo, neanche i Paesi più prosperi e potenti possono illudersi di salvarsi da soli da questo trauma pandemico collettivo rendendosi ciechi ed estranei  alle altrui sofferenze e difficoltà. La forma più elevata di libertà  risiede dunque nella riscoperta della relazione e della solidarietà e non nella produttività individualizzata, nell’ egoismo e nel riempimento famelico delle proprie insufficienze e affannose incombenze.


Dalla paura del pericolo all’assalto dei supermercati: l’alimentazione e il rapporti con i nostri bisogni fisiologici e le emozioni indotte dal corona virus.

Nessuno si sarebbe aspettato questo scenario. Il trauma pandemico ha viaggiato invisibile nell’inatteso e nell’immaginato lasciandoci inermi e privi di armature adeguate  per  fronteggiare   lo spavento provocato dal corpo invisibile di questo virus.
Lo stato di spavento così sperimentato, ha portato molti di noi a rifugiarsi nel cibo, visto come fonte principale di sopravvivenza e sostentamento.
Non a caso nelle ultime settimane, i supermercati sono stati letteralmente saccheggiati da ondate di persone intente a fare scorte di beni alimentari di prima necessità (ad esempio la pasta, lievito farina), insieme a diversi prodotti non primari ma certamente reputati essenziali per il consumo e il vivere quotidiano ( come ad esempio dolciumi di ogni genere e cioccolata). E’ interessante notare come la scelta di queste due categorie alimentari sembri soddisfare quelli che Maslow avrebbe definito le prime due priorità alla base della piramide dei bisogni dell’essere umano.
Alla base di questa piramide ci sono i bisogni legati alla sopravvivenza fisiologica, che si declinano in bisogni fisiologici (nutrirsi, dormire ecc.) e bisogni di sicurezza e protezione (protezione sia da pericoli esterni sia il bisogno di sicurezze interne alla persona).
Secondo Maslow, alla base della piramide starebbero quindi quei bisogni che necessariamente devono essere stati soddisfatti prima di poter raggiungere quelli successivi.
Pur essendo un modello reputato ormai semplicistico, rende bene l’idea di quali siano i diversi tipi di bisogno nell’uomo e di quali possano emergere maggiormente in situazioni di emergenza, rispetto ad una situazione di normalità.
Se riprendiamo infatti le nostre due categorie alimentari, che chiameremo “pasta” (primaria) e “cioccolata” (non primaria), potremo notare come entrambe ricoprano un ruolo fondante nell’assecondare il bisogno fisiologico (in questo caso il nutrimento), così come anche il bisogno di sicurezza (proteggersi dal pericolo e mettersi al sicuro facendo quante più scorte di cibo possibile).
Facendo una riflessione più approfondita, potremmo inoltre soffermarci  sulla scelta della “cioccolata”  all’interno della terza fascia piramidale, ovvero il bisogno di affetto ed evidenziarne lo stretto legame esistente tra l’alimento ed il bisogno di relazione, protezione e accudimento. Come è noto, infatti, l’acquisto di cibi dolci o ipercalorici è collegato non tanto alla soddisfazione della fame fisica, quanto piuttosto a quella emotiva, ossia ad un consumo di cibo legato ad uno dei bisogni di sopravvivenza psicologica più importanti: assecondare il nostro piacere. Il sentirci emotivamente appagati dopo aver mangiato una barretta di cioccolato, cercare di rimediare al nostro senso di vuoto affettivo mangiando uno snack goloso, rientra esattamente in questa categoria.
Ricapitolando potremmo dunque notare come la corsa e l’acquisto degli alimenti tipica dei nostri giorni riesca a ricoprire le prime tre fasce alla base della piramide e spiegare come l’appagamento  emotivo e relazionale ed in modo congiunto quello fisiologico assumono per il benessere psichico e corporeo dell’essere umano un importanza vitale per il suo accrescimento e sostentamento. L’esistenza di questo stretto legame può essere d’aiuto per leggere e decodificare  le condotte legate gli eventuali consumi inappropriati degli alimenti tipiche dei nostri giorni. Da una parte infatti la poca conoscenza del fenomeno virologico, lo spavento, l’impossibilità di uscire, la costrizione all’isolamento sociale e il conseguente vuoto affettivo e limitazione della propria libertà, potrebbero,  sfociare in complesse disregolazioni emotive regolamentate da  un consumo disfunzionale degli alimenti.
D’altra invece, potremmo richiamare il nostro stesso istinto di sopravvivenza per spiegarci come il bisogno di cercare cibi con un più alto contenuto calorico, al fine di “fare la scorta” e rimanere sazi più a lungo, nel caso in cui si presentasse un periodo di carestia (assenza di cibo o limitazioni nell’accesso al cibo) possa concorrere nella spiegazione di tali condotte. In altri infine, potrebbe verificarsi un mix combinato delle due situazioni precedenti.
 Occorre tuttavia chiarire che all’interno di questa complessa situazione, ogni individuo è una persona a se stante colorata e definita dalle sue specificità. Come tale ognuno di noi reagisce secondo il suo stile di vita, le sue mete e finzioni sviluppando condotte più o meno funzionali  alla realtà che sta vivendo inseguendo la propria soggettività. Sarebbe pertanto  impossibile e insensato estendere e  generalizzare uno stesso schema di comportamento per l’intera popolazione senza indagare l’animo umano e i suoi vissuti con maggiore profondità. Tale guida schematica può tuttavia agevolare la riflessione e l’analisi degli eventuali scenari più a rischio e  approfondire quali fattori possono concorrere al suo uso disfunzionale generato o amplificato dall’emergenza corrente.


Coronavirus:quali i fattori sregolanti per la nostra alimentazione?

 Con il passare dei giorni il progressivo adattamento, la maggiore familiarità e convivenza con il virus dal corpo invisibile hanno tramutato lentamente ansie e timori collettive da uno stato di primaria angoscia persecutoria ad altre forme di natura più depressiva. In principio infatti il nemico invisibile ci induceva al timore dell’altro, al distanziamento, all’assalto egoistico e auto protettivo dei supermercati. Essendo privo di un corpo il pericolo poteva essere mentalmente collocato nella dimensione dell’ovunque indefinito, nel nostro cosi come nel corpo del fratello vicino  distanziato e avvertito con  paura e minaccia. Vissuti e pensieri di tipo paranoide ci hanno giustamente ancorato nelle nostre case sentendoci  protetti, lontani e sicuri   dal pericolo del contagio proveniente dal mondo esterno. Il distanziamento sociale si è poi però tramutato in qualcosa di nuovo. Esso ha dato adito non più a forme di paure e angosce persecutorie, ma a forme di depressioni collettive, legate cioè alla perdita dei nostri “oggetti”, dei nostri segni e delle nostre relazioni peculiari.
La vera angoscia corrente si è dunque  tramutata in perdita di quel tipo di vita che  conoscevamo e svolgevamo prima:
Perdita dei contatti e delle relazioni a noi cara, perdita delle nostri spazi liberi ridotti e circoscritti all’interno di spazi e mure ristrette e talvolta forzate, perdita di soluzioni  salvifiche verso forme svariate  di violenza  fisica e psichica familiare. Rinuncia  di  attività creative che davano al nostro organismo energia psichica ed organica alimentandolo  anche da un punto di vista neurologico di carbonante a noi essenziale e vitale. 
A mancarci in modo significativo sono stati inoltre  momenti di esposizione   alla luce  e tutto ciò che essi recano in noi in termini di benessere fisico e psichico. 
I prati in fioritura, gli uccellini cinguettanti e l’abbraccio caldo del sole primaverile stanno colorando le tonalità grigie e appiattite di queste giornate. Tutto attorno a noi parla  della primavera, della bellezza dei suoi odori e dei suoi colori. Con essa anche il nostro corpo pare voler esprimere il suo bisogno  frustrato di risveglio e volersi equipaggiare  al meglio  per prepararsi ad una nuova Rinascita,  come come quella  ritualmente simboleggiata dall’avvento della festività Pasquale appena trascorsa in modo non ordinario.  

Anche a Pasqua siamo rimasti in casa e  abbiamo badato ai nostri tumulti interni  contemplando malinconici i ricordi e le emozioni del nostro vivere quotidiano derubato, volgendo lo sguardo speranzoso alle finestre. Proprio li, dai nostri balconi e dalle nostre finestre abbiamo simboleggiato e additato  alla rinascita con aperitivi e soluzioni creative straordinarie lasciandoci riscaldare e coccolare dai raggi solari che oggi più che mai  ci sembrano cosi  utopici da riafferrare. Anche codesti momenti di esposizione alla luce solare, possono contribuire all’insorgenza di malumori e umori altalenanti dal momento che contribuiscono in modo rilevante  alla produzione delle Endorfine, ormoni che, come risaputo,  favoriscono l’insorgenza del buon umore.

 Che dire inoltre della perdita delle nostre antiche certezze?. Conviviamo oggi con  la paura del contagio, con l’insicurezza economica e l’incertezza dell’avvenire. Coabitiamo nelle nostre dimore con l’abbandono dei nostri consueti modi di lavorare abituandoci a nuove formule alternative.
Abbiamo, aspetto ancor più rilevante rispetto all’argomento di nostro interesse, quello della relazione tra il covid e l’alimentazione, fatto un ulteriore rinuncia significativa. Ci siamo privati degli abbracci, dei baci silenziosi e delle strette di mano calorose. I nostri corpi e le nostre emozioni hanno cosi accusato la privazione di quei segni e di quelle presenze che sancivano le nostre essenze e le rendevano vitali. In tal modo si sono dunque sbriciolate le nostre pagnotte interne, disperse le briciole di quegli impasti che, calibrati con  giusti dosaggi, conferivano equilibrio e armonia alle nostre dispense interne.
 Le  persone che già prima dell’avvento del covid-19 presentavano disregolazioni emotive e disfunzionalità alimentari più o meno consapevoli e/o latenti potrebbero in siffatte condizioni avvertire maggiormente la leggerezza delle  loro dispense interne e sentire l’urgenza di colmarle in modo non sempre idoneo e funzionale acuendo il loro malessere.. 
Per questa tipologia di persone è  più facile lottare con il cibo che con i propri fantasmi e nemici interiori. Più facile doversi per esempio misurare con le calorie che cimentarsi in un conflitto coniugale, genitoriale o amicale e/o fronteggiare le relative perdite indotte dal virus.

Cosa fare  per arginare le condotte alimentari disfunzionali in quarantena

Vivere in una situazione inconsueta può allarmare e suscitare emozioni svariate. Non dobbiamo sotterrarle a tutti i costi, possiamo anche lamentarci per 5 minuti di orologio e tirare fuori tutto ciò che di negativo abbiamo dentro. Riempire le nostre giornate è un bene ma non se scappiamo e non riconosciamo che il nostro bisogno di riempimento è anche legato  ai nostri tumulti interni. In periodi come questi è normale sperimentare emozioni altalenanti, le proviamo tutti ma non proprio tutti siamo cosi abili nel fermarci un momento per visualizzarle e  riconoscerle. Quando visualizzate e riconosciute le emozioni non ci rendono più fragili ma al contrario ci aiutano a conoscerci meglio. Non dobbiamo allontanarle mettendoci dentro incombenze e calorie. Pianifichiamo si le nostre giornate ma scegliamo accuratamente come riempirle. Scegliamo per esempio ciò che più ci piace e coltiviamo risorse. Tutti noi le possediamo, alcune sono evidenti altre non ancora e richiedono ulteriore esercizio  e nutrimento. Approfittiamo dunque di questi momenti per rinvigorirle  permettendoci di essere davvero ciò che siamo, ne gioverà la nostra sensazione di competenza e  auto efficacia.

Possiamo inoltre usare un’altra arma segreta che ognuno di noi in casa ha: una penna o la tastiera di un computer. In momenti straordinari come questi succede sempre un qualcosa di più o meno decifrato nel nostro interno: proviamo emozioni, le più svariate e non sempre riusciamo a decodificarle e raccontarle correttamente. Proprio in questo la penna può tornare utile. Essa è molto abile, segue la confusione che abbiamo in mente, scioglie il filo ingarbugliato delle nostre emozioni e dei nostri pensieri mettendoli nero su bianco. Scrivere aiuta dunque a fare ordine e a non sentirci sopraffatti dalle emozioni che non vogliamo sentire o vedere. Per quanto confusa la realtà diventa su carta bianca visibile, concepibile e più fruibile. Si tramuta allora in qualcosa di nostro più accessibile e fruibile.
   

Mindful Eating
Un altro strumento utile per arginare la diffusione di tendenze alimentari scorrette può essere anche il ricorso al Mindfu eating, esercizi che possono essere estesi a bambini,adulti e adolescenti. 
Un risvolto interessante  dell’intrusione del covid nelle nostre vite è stato la maggiore inclusione dei bambini nelle cucine domestiche. Il coinvolgimento dei bambini nella preparazione ai pasti, se fatto in termini di condivisione e qualità relazionale e non in termini esclusivamente prestazionali dettati cioè dall’esigenza degli adulti di rendere i propri ragazzi efficienti, autonomi e competenti tenendoli occupati, può essere una buona pratica per favorire condivisione, circolazione emotiva e amore  stimolando inoltre un approccio sano,  equilibrato e sereno verso il cibo. A tal proposito è risaputo infatti che i bambini che fanno più pasti familiari condivisi hanno minori probabilità di sviluppare disturbi alimentari. 
Tornando alla mindful eating come proposta pratica meditativa per arginare  o prevenire possibili disregolazioni alimentari sollecitati da questo periodo di attesa e sospensione, occorre partire dalla sua definizione per capire cosa essa sia e in che modo possa essa essere d’ausilio.

La midfulness deriva dal pensiero del buddismo classico  dalla parola “sati” che vuol dire giusta concentrazione. Esso si propone cioè di aiutare a stimolare l’uso dell’attenzione particolare e intenzionale. Tale intento nasce da una propensione tipicamente umana, ovvero quella  di dissociare o pensare a tante altre cose contemporaneamente mentre siamo impegnati in un’attività. C’è per esempio chi tende a ruminare mentalmente, chi passa il tempo a fare pensieri e previsioni catastrofiche oppure chi accompagna il suo tempo con il giudizio. 
L’esperienza Mindfulness parte dunque da queste premesse per arrivare a  raggiungere un idea di benessere e di felicità basata sulla riscoperta del contatto presente con i propri sensi e con la propria sensorialità attraverso una serie di esercizi meditativi  che hanno come obiettivo quello di riportare la mente sull’oggetto presente. 
Nello specifico il protocollo della mindflu eating aiuta a sganciare il cibo dall’emozione negativa a quella positiva spostando l’attenzione verso l’odore, il sapore, la forma ed il profumo della pietanza. Ciò riporta ad avere una maggiore finezza sensoriale, a sentire e a riconoscere i richiami del corpo, i segnali biologici sganciati da quelli emotivi distinguendo esperienza emotiva da quella sensoriale con maggiore consapevolezza e serenità. 


Ritrovare la propria bussola




Desidero infine concludere con un ultima riflessione. Anche quando il sopraggiungere della bufera virale sembrerà  deprivarci di tutto, facendoci sentire ulteriormente bisognosi, famelici e mancanti, niente e nessuno  potrà mai davvero sganciarci dalla nostra bussola interna. La bussola ci ricorda chi siamo e chi ancora vogliamo essere aiutandoci  a intravedere negli scogli ulteriori possibilità rigenerative. Tutti ne abbiamo una, non sempre la scorgiamo ma possiamo sempre riscoprirla con  tenacia, pazienza e speranza. Essa ci orienta nelle scelte, ci ricorda dove siamo per capire dove ancora vogliamo arrivare. La mia per esempio è  un ciondolo, un trullo.


È appeso al mio collo, sfiora il mio cuore e mi accompagna anche quando il virus mi ricorda che sono isolata dagli affetti e mancante di segni, oggetti e relazioni significative. Il piccolo trullo rimane li fedele accanto al mio petto. Non abbandona ed è sempre  vicino anche e soprattutto in questi giorni di duro cammino. Lo guardo, lo sfioro,  e mi riconnetto al nutrimento dei miei “oggetti” significativi. Mi protegge e mi conferisce sicurezza interna: li sono condensati i miei affetti, i mie luoghi, i miei colori e i miei sapori. Delle volte lo accarezzo anche, si perchè la bussola richiede anche  il saper accogliere e intravedere le proprie risorse e rendere più docili le proprie fragilità. Quelle fragilità che dapprima nascoste e cicatrizzate ho  cercato di tramutare in oro lasciandole brillare. Il piccolo trulletto mi ricorda chi sono, da dove provengo e quanta strada ho fatto ora che sono approdata in terra straniera isolata forzatamente all’interno di mura che non mi sono familiari.
Mi rammenta che in questa bufera virale posso ancora rimanerci ancorata e procedere in acque tempestose con sicurezza e vitalità superando nuovi scogli.

“...Ma proprio tu, Giacomo, inesausto frequentatore di spazi celesti,
avevi compreso che la parte più vera di noi è una casa da poter abitare ovunque,con le fondamenta al contrario,appese ad una stella, non cadente ma luminoso riferimento per la nostra navigazione nel mare della vita. Tu mi hai insegnato che il rapimento non è il lusso che possiamo concederci una notte all’anno, ma la stella polare di una vita intera…
… Solo la fedeltà al proprio rapimento rende la vita un’appassionante esplorazione delle possibilità, e le trasforma in nutrimento, anche quando la realtà sembra sbarrarci la strada...”
(Alessandro D’Avenia, L’arte di essere fragili)

 Occorre dunque riscoprirla questa bussola interna e imparare a seguirla con leggero tremore prima, con passo svelto e sicuro poi. Essa ci riporterà sempre a casa anche quando ci sembrerà  un posto lontanissimo da dove siamo. Solo grazie ad essa potremmo navigare verso la rinascita imparando a piccoli passi come regolare il piccolo veliero e riportare al sicuro la propria nave. 

“è proprio nell’oscurità
che talvolta si 
ricomincia a brillare”






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