A mio nonno, a quegli occhi che non ho mai incontrato

A mio Nonno,
a quegli occhi verdi che non ho mai incontrato 

Tutti hanno bisogno di una fune per risalire
 il crinale del proprio dolore
(Silvia Celani, Ogni piccola cosa interrotta)

Sogno prati  verdi dal cuore aperto delle mie finestre, quelli che il  cemento del mio balcone non riescono oggi a guardare.Reclusa all’interno di una  domus straniera  mi ritrovo nelle edere familiari  dei tuoi verdi occhi. Quadrifogli belli e speranzosi che solo mia fantasia poteva annoverare. Sfumano di contorno nel castagneto dei miei occhi. Specchi di una terra e di una storia a te forse  sconosciuta e lontana. Terra che odora di vecchie radici già da principio annidate. Li nel colore del  terriccio nuovo e  nel sapore dell’antico campo arso irradia il sole di quel tuo verde residuo.
Li forse ti sei fermato, li forse ci sei sempre stato delineando, come  foglia  rinsavita a primavera,  luce e  colore dei tuoi occhi. Un faro che cala  sulla  notte irradiando  buio e silenzio delle onde. Onde rivenute cristalline al risveglio del mattino. Sfumature  che si ravvisano al chiarore del sole. 
Non le scorgi proprio facilmente. Quelle sfumature nei miei occhi le intravedi quando è il buongiorno a ravvivare colore con  docile carezze.  Quasi a volermi rimembrare che è proprio innanzi alla luce riafferrata che tu in verità mi rifletti.
Mi rifletti più che mai in giornate  non ordinarie come queste,  giornate scandite dai passi silenziosi  delle mie scritture. Viaggi nei labirinti ondeggianti dei miei pensieri. Riannodi di fili  ingarbugliati.
Sono Lettere che sfiorano i lobi e sussurrano con  dicibili parole quali bellezze riafferrare, quali semi riannaffiare  per aromatizzare il frutto del mio essere.
Ma quali giorni sono questi ti chiedi tu, che leggiadro fra le nuvole nel nostro tempo non sei più presente.
Caro nonno sono giorni di guerra, almeno cosi spesso amano definirli i condottieri che dall’alto ci conducono. Giorni trascorsi in trincea nelle nostre case. Da li combattiamo contro un male invisibile che ci costringe alla resa e alla sospensione.
Ma di  quale guerra virale potrei mai io davvero narrarti?
Proprio a te che la guerra, quella vera, quella fronteggiata in terre straniera assieme a compagni e soldati feriti, l’hai davvero combattuta? Quella guerra che tu stesso,  sottaciute  le parole sotto al  tappeto dell’orrore che vivevi,  hai messo  nere su bianco nel tesoro taciuto del tuoi vecchi diari.
Caro nonno avrei tanto voluto sfogliarle  anche io quelle pagine per rileggere e rintracciare qualche segno nelle mie. Con te purtroppo anche quelle sono venute a mancare. La nonna non è stata molto prudente, le ha spazzate via da quella cantina impolverata. Altro oblio è colato nei silenzi delle mie rimembranze.
Avresti forse desiderato farne testimonianza? Rileggermele davanti al  focolare per meglio equipaggiarmi? O raccontarmi di quanti e quali dolori  il guerriero sopravvissuto inscrive nelle sue cicatrici quando  sangue e massacro travolge chi più sfortunato di te perisce lottando al tuo fianco?
Forse stavi solo sciogliendo fili di parole ingarbugliate che scorrevano confuse nell’orrore di pensieri impronunciabili.
Io questo non posso saperlo se non  posandomi fantasiosa su quei mie contorni verdi in cui posso  rivederti,  e ritrovarmi.

Oggi caro nonno nulla ci narra dell’orrore dei tuoi giorni. La chiamano  guerra al male invisibile ma quel tuo antico dissapore non è propri uguale al nostro. Ci sentiamo forse un pò tutti più  ristretti e deprivati ma in fondo  non abbiamo memorie di bombe, guerriglie e soldati mutilati. In trincea ci sono muovi militi, sono medici ed infermieri. Quelli si, la guerra la stanno  combattendo davvero fra vite da salvare e rianimare. Molti di loro, assieme alle anime più fragili che cercano di salvare, stanno perendo ma noi altri seduti su  comodi divani respiriamo. Attendiamo forse un po' sospesi e malinconici aria di rinascita dai nostri  balconi canterini.
Non conosciamo la fame, ci siamo si, un po' tutti, chi più chi meno, impoveriti ma in nessuno dei nostri buchi brulica  la carestia dei tuoi giorni.
Come te però caro nonno mi ritrovo a fare ordine nelle righe dei miei fogli bianchi.
Sai, anche quelle oggi sono un po' mutate. Le puoi immaginare come delle finestre virtuali. Ci aprono al mondo tenendoci uniti anche quando dobbiamo essere  lontani.
Chissà invece tu quante volte  tra i rumori assordanti delle armi che impugnavi avresti voluto  riabbracciare tua moglie e trovare li un po' di sollievo e di  riparo.  
Certo, la nonna sicuramente non era proprio un bacio perugina. Avrebbe incalzato al risparmio  anche su quei pochi spicci spesi per caramelle inutili a lei dedicate, soldatessa vigile e autoritaria qual’era. 
Ma vi voglio comunque  incorniciare nelle mie fantasie all’interno di quadretto coniugale moderno,  più docile e ammorbidito del vostro. Del resto erano  altri tempi e i baci  perugina non li  trovavi  al mercato, forse non erano neanche poi  tanto di moda. 
Chissà  quante volte avresti voluto abbracciare quel tuo figlio e dirgli ,con quel dolce sorriso con cui io ti voglio immaginare, che in fondo andava tutto bene.
Quanti baci rubati a quel pargoletto che nel frattempo fioriva in tua assenza . Avevi appena appreso la nascita del tuo primo genito per mezzo di lettere mute e intermittenti. Avresti  forse voluto stringerlo tra le tue braccia e presentarlo al mondo fiero come il re leone  con il suo piccolo Simba fa su di una rupe alta e imponente? È ancora mia fantasia, intenta a disegnare il tuo essere padre, ad interrogarsi.
Caro nonno, qui fuori dilaga il cattivo “corona” ma io questo nemico sto cercando di farmelo alleato  tramutandolo in un nuovo anticorpo  per le  mie carni.
Oggi, più che mai, il mio pensiero libero e creativo, ancora forse un po' fanciullino, è volato da te. 
Nel mio scrivere mi ritrovo e ti riafferro nei colori delle tue mancanze. La penna parla di me, di noi, di quello che di te è  rimasto preziosamente custodito in me  quando ti raggiungo fantasiosa nelle mie memorie. 
Quando a luce di candela soffusa  ti rivedo  chinato a colorare la vita sui tuoi fogli bianchi. Quando ti rincontro  nella  toilette intento a leggere l’ultimo scritto rimasto.
La mamma dice sempre  che scrivevi molto, che appuntavi qualsiasi cosa e li non ti sfuggiva più niente, quasi come se avessi voluto intingere colori e dissapori nella tua penna rendendole indelebili. Quasi a volerle meglio afferrare e codificare nelle tue memorie.

Ho rindossato svestita  i  tuoi stessi panni e li mi ci sono ritrovata. Certo i miei sono un po'  più eleganti e curati dei tuoi. Sai nonno un pizzico di vanità mi appartiene, la mamma e la vita li fuori me l’hanno un pò trasmessa. Anche quella forse mi  è servita per combattere con le poche armi che possedevo. I tuoi invece, quelli che con fierezza indossavi da nobile uomo di campagna quale eri, non abbisognavano di stoffe pregiate. Il pregio della tua seta  si scorgeva negli sguardi di stima e affetto profondo di chi in paese contento ti mirava.

Quegli  stessi abiti oggi mi hanno  ricondotta al tuo dolce ricordo ed io voglio continuare ad annaffiarlo per veder rifiorire le  piante  dei miei giardini, per colmare quel pezzo di terra svuotato riempiendolo con i tuoi stessi semini. 
In quali  altre cose ti  sei posato sulle edere dei miei contorni? Mi aggrappo appannata a sprazzi di racconti confusi.
Alla  mamma, a cui ti sei sottratto prematuro, compare un dolce sorriso tutte le volte in cui tuo passato ritorna. Certo, ogni mancanza quando prematura e repentina, viaggia su canali di memorie patriottiche e zuccherine. Quelle piccole sbavature e brutture che forse anche tu possedevi si sono dissolte nel maremoto dei ricordi come pioggia sul mare. Da li  solo le onde più forti e vitali riaffiorano invigorite.
Ma se anche alla gente del  tuo paesino spunta in tua memoria stesso faccino io persevero ostinata e orgogliosa lo stesso idillio. 
Rinsavito il tuo nome ad un passante del borgo tuo nativo, qualcuno un giorno ti incoronò esaltandone Grandezza. 
“ Luigi era un grande uomo, un uomo diverso dagli altri”, costui sussurrò.
In cosa nonno eri  davvero cosi diverso? 
Cerco affamata aneddoti della tua vita per schiarirne sembianza ma nelle tasche  ritrovo solo  toppe e briciole disperse. Le  tue gesta si dissolvono come cera tra le fiamme di immagini confuse.
Io quella grandezza la ritrovo nei tuoi tesori. 
Non quelli rinsaviti dal luccichio di ricchi poderi e armamenti. Eri un uomo umile di terra e di coltura. La tua pelle spessa e indurita  sapeva di  terra, fatica e costanza, quella di una vita passata sui campi. 
La tua era  allora una forza diversa, più nobile ed elevata. La forza di chi, manovra le armi della presenza e dell’amore facendone vita, nutrimento e altura per chi, fortunato recettore di questo segno, vi si accosta.
Silenzioso ti sei posato negli animi di chi hai incontrato. A te come vento si sono trascinati, smossi dal vento potente del tuo cuore. Un cuore che ebbe molti seguaci proprio grazie al potere attrattivo  che su di loro esercitavi.
Se c’è una cosa in cui  davvero mi manchi, caro nonno, è  questo tuo prezioso segno. Manchi tutte le volte in cui cerco un alternativa al potere e alla sopraffazione. Tutte le volte in cui nel mio vocabolario uomo non porta a dolcezza e protezione. Manchi nella tua straordinaria sensibilità, anche quella contornata da gemme di debolezze e imperfezioni. Quelle imperfezioni che  tu stesso cospargevi d’oro facendole brillare negli occhi di chi ti seguiva e ti mirava. 
Sei mancato negli sguardi pedanti e giudicanti. Negli sguardi di chi insegue  bellezza e perfezione ma non coltiva vero valore.
In Questo, fra tutto, mi sei Mancato caro nonno. È mancato il  segno del  tuo esempio. Il segno di uomo di Grande e vero Valore. Guida e condottiero valoroso nel cammino delle mie lunghe storie. 
Storie e miei lunghi viaggi che forse tu non conosci. Sai nonno, anche io un bel giorno sono salita su di un vecchio vagone. Era simile a quello descritto nel “ Treno del sole”, libro che tu hai letto e riletto tante volte estasiato. Anche io come quella famiglia ho sognato e cercato fortuna lontano.
Ancora la mamma, unica fonte delle tue piccole memorie, mi annovera quanto tu, affamato di libri e conoscenza nonostante i tuoi esigui studi, sognassi per i tuoi figli nuova vita esente dai campi.
Come Agata, personaggio del  libro, anche io mi ritrovo  in terra  straniera e combatto per un futuro migliore. Nei miei desideri di speranza e cambiamento non cancellerò i miei vecchi semini e le mie antiche mancanze.  Arerò l’antica terra riempiendola di qualcosa di nuovo. Frutterò nuovi germi che sapranno di te e dell’odore dei tuoi vecchi campi coltivati. 
Del resto anche in quel “Treno del Sole” diretto per Torino Agata  portò con sè la sua capretta agreste, quella capretta che dapprima derisa in Terra cittadina  divenne poi nutrimento salvifico per sé stessa e per il  suo vicinato. Quella capretta che,  segno di un  passato o di un qualcosa andato ormai perduto, può sempre rinnovarsi e riadattarsi  sulla base di quel poco di buono che un tempo c’è stato.
Nulla è mai perduto, anche quando tutto attorno a noi svanisce, cambia e ci fa paura. Neanche tu, Caro nonno, sei svanito davvero. Le “cose” possono sempre aggiustarsi e tornare a vivere più ricche e floride di prima se prima però non facciamo lo sforzo di riguardarle e aggiustarle tramutandole in oro prezioso. Tu sei nei miei libri, nelle mie  penne, sei e ci sarà per sempre  soprattutto nella tua e nella mia più ricca e fragile emotività. Quella emotività che è divenuta oggi parte inscindibile del mio essere e strumento essenziale del mio lavoro. 
é cosi che ho imparato a riparare le cose rotte, cosi  a farle rivivere. Anche le persone,  sopravvivono all’oblio dei nostri giorni quando tracciano mancanza.



Caro nonno non temo più il campo vuoto e il tempo sospeso, come quello sceneggiato dalla guerra dei nostri giorni. Avrò cura e amore per quelle debolezze e  quelle fragilità, soprattutto ora che ho più nitida la tua immagine. Ora che ti riafferrò in memoria intento ad annaffiare le tue e le miei piantine. Ora che i miei contorni sanno davvero dell’edera  dei tuoi occhi.

“Lei si divincola dall’abbraccio e lo guarda negli occhi..
Che cosa papà?
Che non nasconderai mai le tue ferite, piccola mia. Perchè ogni ferita guarita ogni cosa spezzata, interrotta e poi aggiustata è più preziosa dell’oro”
(Silvia Celani, Ogni piccola cosa interrotta”)


 Il nonno non aveva gli occhi verdi, ma era cosi che me lo ero sempre immaginato. Ho saputo il suo vero colore a fine stesura, quando la mamma mi ha esortato a correggerlo. Rimarrà in queste righe e nel luogo del mio immaginario, ove è preziosamente custodito, il nonno dagli occhi verdi. Il verde rimanda al campo, alla primavera, al bisogno incalzato, soprattutto in giornate straordinarie come queste , di risemina speranzosa dei propri frutti agresti.



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