Il cuore matto, matto da legare. Il cuore matto che ti vuole bene

“Il cuore matto, matto da legare, Il cuore matto che ti vuole bene”
(Little Tony) 

Il viaggio di ritorno verso casa è sempre un momento di sospensione e meditazione. I pensieri corrono veloci sulla donna che sono, su quella che ancora voglio essere, su tutto quello che non ho fatto, che devo fare, che forse non riuscirò a fare mai e che mi rammarica. Non tollero la sospensione e l’incertezza, figuriamoci ora che torno a casa priva di una parte del posto che prima occupavo nel mondo. Leggo su uno dei miei libri che “imparare a vivere significa accettare l’attesa, la sospensione, l’incertezza. Integrare lentamente l’idea che nonostante tutto, il vuoto che ci portiamo dentro non potrà mai essere del tutto colmato” Che ci sarà sempre qualcosa che ci manca. E che forse è proprio questa assenza che caratterizza il nostro rapporto con il tempo, con lo spazio e con l’amore”. È faticoso digerire questi pensieri. Scorgo dal finestrino delle nubi trasparenti. Si annida nella mia mente il principio di un baratro, ma i miei pensieri non ci cadono. Sono le note inattese di “Little Tony” provenienti dalle mie cuffie a trasformare quella paura in un dolce ricordo: F. D., noto a tutti come Fiore, “un vero cuore matto”, un cuore matto che mi ha voluto bene. Chissà se nella vita le persone capitano per caso, a volte sembrano prendersi tutto e andare via, altre volte invece ti porgono il dono della loro presenza rendendo più sopportabile quell’abisso... Del resto Fiore fa rima con Amore, quell’amore che ti resta e si annida nelle memorie anche quando la porta si chiude alle tue spalle e sei costretto ad andare via…
Ora che la radio suona una nuova melodia e la tua canzone preferita è terminata caro Fiore, sono le urla, i sorrisi e i tuoi abbracci a riempire questo viaggio e ad aiutarmi a ricostruire la nostra storia, donandomi una traccia indelebile della tua presenza…
…Quando “approdai” la prima volta ad Arcipelago2 non avevo ancora un’immagine reale della comunità. Ero una giovane appassionata e sognatrice. I libri me l’avevano raccontata come un posto di cura e di relazione. Un luogo dove la diversità viene accolta ed integrata nel rispetto delle peculiarità e delle specificità: un luogo insomma dove avrei voluto lavorare davvero. Nessuno mi aveva spiegato che avrei dovuto imparare a galleggiare fra i malumori, le frustrazioni e le ostilità di noi uomini “sani”. Nessuno che avrei annusato sulla mia pelle la fatica e l’esaurimento di chi dopo 10 anni non è più disposto a prendersi schiaffi e sputi dagli utenti senza ricevere alcuna forma di riconoscimento e gratitudine. Nessuno mi aveva spiegato che in un’equipe non bisogna abbaiare, ma scodinzolare. Nessuno come sopravvivere all’inerzia e al respiro mortifero di alcuni dei nostri ospiti. Nessuno, il rischio di diventare “un matto fra i matti”.
Capi subito che stavo per entrare in un luogo dove avrei fatto fatica a sopravvivere. Si respirava tensione in ogni angolo delle stanze. Chi erano i matti? I signori? Io? o loro?
 Non ebbi una buona accoglienza, avrei dovuto cavarmela da sola. La comunità era satura di fortissimi odori oltre che di malumori. C’era M. all’ingresso di quella porta pronta ad accendere il turbo e fuggire assieme alle sue flatulenze. Subito dopo Z., uno sguardo pietoso e regredito in cerca di cibo o di qualsiasi cosa di vagamente commestibile. Non dovevo toccarlo, ma ingenuamente lo feci. Il signore aveva l’abitudine di mangiare qualsiasi cosa, dalla polvere a terra alle sue feci.  E poi, largo tutti, arrivasti tu con passo fiero e claudicante a fare gli onori di casa da vero e proprio padrone esperienzato. 
Il tuo sorriso sdentato era contagiante, trasmettevi gioia e dolcezza da ogni poro della pelle. Non potevo non sorriderti, Fiore, sebbene paure e ansie iniziassero a bussare alle mie porte. Mi prendesti per mano, mi mostrasti la sala conviviale e le foto appese alle pareti prima di farmi un breve resoconto delle tue giornate in un linguaggio gestuale e qualche vocalizzo a me ancora poco comprensibile. Ti esibisti in uno show da vero attore campano. Simulavi una partita di pallone ed una serie di addominali. Non ti reggevi in piedi Fiorellino mio, eppure non riuscivi proprio a non mostrarmi da subito la socievolezza e la comicità che ti apparteneva. Mi dissero che ero giovane e che a modo tuo stavi solo flirtando da buon vecchio marpione. Certo, le ragazze caro Fiore non ti sono mai dispiaciute. Durante le nostre uscite non eri affatto insensibile al fascino femminile, come negarlo. Ma eri anche e soprattutto un uomo di mondo, un vero essere sociale. Dovevi salutarle proprio tutte le persone sconosciute che incontravamo per strada e fermarti in questa operazione non era affatto semplice.
Che cosa allora intendevi realmente mostrarmi in quella esibizione? Quando mi abbracciavi e ridevi forte mi impasticciavi di baci bavosi che non avevano proprio nulla a che fare con l’amore di un adulto. Erano i baci di un bambino che traforano teneramente le fortezze di un adulto...Volevi forse donarmi qualcosa di tuo e   creare semplicemente un legame…

Come può la follia suonare le corde dell’amore e vibrare cosi nel profondo? Ti mancavano i denti, le parole e qualche neurone fuori posto, ma la cura e la dolcezza no. Ricordo ancora l’espressione del tuo volto quando incontravamo bambini in strada o la sedia che amorevolmente mi portavi quando imboccavo alcuni dei tuoi compagni a cena. Me la porgevi ridacchiando e te ne tornavi a mangiare come un bimbo felice per qualche caramella ricevuta. Delle volte eri veramente più sano di noi presunti normali. Come questo sia possibile Fiorellino io ancora stento a capirlo. 
Eppure matterello lo eri davvero e neanche poco. Ti riempivamo di Depakin per calmare le tue ire furibonde, i tuoi sputi e le tue urla chiassose. Avevi imparato furbamente a sclerare dopo pranzo per ottenere la tua uscita al bar. Farti uscire anche quando non te lo meritavi era una giusta causa per mantenere la quiete all’interno di quelle mura. Che dire invece dei tuoi soliti battibecchi con A.? Mettevano a dura prova la pazienza di chiunque! Vi inseguivate come Tom e Jerry istigandovi a vicenda e quando passavamo vicino al fiume Po mi facevi capire con aria complice che desideravi buttarla dentro, annuivo, un po' ti sorridevo ma non potevo proprio risponderti “anche io”. Anna era forse troppo egoista ed autocentrata per i gusti di entrambi.
Ho cercato più volte di entrare negli echi delle tue urla ma non sempre era possibile capirti, delle volte mi sembravi ambivalente e basta. Di una cosa sono però certa: non dispendevi baci e abbracci a chiunque in egual misura. Urlavi, indispettivi e malmenavi soprattutto chi non era disposto ad accogliere la tua accoglienza. Il signor. E., tuo bersaglio preferito dopo A., era un uomo burbero e solitario. Respingeva qualsiasi forma di contatto umano che non fosse finalizzato ad ottenere esclusivamente un biscotto o un caffè e tu Fiore ti divertivi “come un matto” a toccarlo e a scatenare la sua inevitabile ira funesta. Standovi accanto ho imparato gradualmente che non esiste pazzia senza giustificazione e che ogni vostro gesto di violenza poteva nascondere un messaggio o una qualche forma di sofferenza non sempre facile da cogliere.
Chissà quante urla, quanti oggetti lanciati e quanta rabbia hai provato il giorno in cui sono scappata da quella porta senza neanche darti un bacio. Perdonami Fiore. Devi sapere che delle volte noi “normali” non siamo poi tanto sani come si racconta in giro. Temiamo il naufragio, siamo terrorizzati dalle onde che ci attraversano e ci illudiamo di proteggerci scappando il più lontano possibile da “Arcipelago”…
Mi hai rivista bussare a quella porta dopo una settimana. Dormivi, eri mezzo intontito. Temevo mi avessi già dimenticata e invece hai aperto gli occhi e hai iniziato a seguirmi come un’ombra. Hai scartato il mio piccolo dono: una nostra foto e delle frasi che ho scritto per te. Non sapevi leggere, a stento distinguevi le sagome dell’immagine eppure l’hai dovuta mostrare orgoglioso all’intera comunità. Quando hai capito che stavo per andare via mi hai spintonata in ufficio per non farmi passare e ti sei posto davanti all’ingresso imprecando minaccioso il tuo solito “ SCIOO SCIOO”( vai via). Abbiamo impiegato un po' di tempo per calmarti ma alla fine sono riuscita a strapparti un ultimo abbraccio prima che ti addormentassi sfinito sul divano in attesa della tua cena.  Non potevo proprio andarmene senza ricevere un tuo ultimo abbraccio. Lo hai fatto più forte del solito. Era stretto, cosi stretto che ho temuto di rompermi. E invece di rompermi caro Fiore, quella sera mi hai aggiustata…
Non è stato facile lavorare in comunità, ancor meno collaborare con l’equipe, ed ora che ne sono fuori di Arcipelago rimpiango tante cose…
“Mamma, mamma Il mare!!” ...I miei pensieri vengono interrotti bruscamente dallo stupore di un bambino che estasiato volge lo sguardo al finestrino. Sono le acque cristalline dell’Adriatico. Preannunciano l’arrivo imminente nella mia Puglia. Mi fermo anche io per qualche istante a contemplarlo… Il mare mi rasserena, il mare mi riempie, il mare infonde pace nel mio animo e m’ appartiene. Devo imparare a fermarmi e a respirare. L’angoscia di non farcela e la paura di fallire si quietano lentamente fra le onde…
Cosa porterò a casa da questo viaggio? Ho imparato solo con il tempo e grande fatica a conoscere e a farmi riconoscere da Arcipelago e dalle sue “isolette”. Solo quando ho iniziato a vederle nitidamente sono riuscita ad accogliere e ad interagire con ciascuna delle sue luci e delle sue ombre, mie comprese. Ora ne conosco tutte le sfumature e posso dipingerle nelle mie memorie. Ci sarà sempre un posto per “Miao, Pau, Liu, e per quanti hanno contribuito a colorare in qualche modo questa esperienza, donandomi o deprivandomi di qualcosa nel bene o nel male. Tante altre volte temerò di cadere, tante ancora di farmi male. Ora però, potrò tornare a casa sapendo almeno di non essere fuggita e di non aver temuto quel tuo ultimo abbraccio. Quando mi hai stretta forte, ho capito che nessun naufragio mi avrebbe travolta, che mai saresti sprofondato negli abissi del mio cuore e che sempre li ti avrei ritrovato. Di questo caro Fiore io ti ringrazio, per la grandezza del tuo cuore matto, quel cuore matto che mi ha voluta bene, che in silenzio o urlando ha avuto la grande forza di trascinare il mio …
Grazie




«La grandezza non risiede nell’essere forti ma nel giusto uso della forza. È il più grande colui la cui forza trascina il maggior numero di cuori grazie all’attrazione del proprio»
(Beecher, in Wonder,2018)

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