Isolamento: quali rischi reali? Gli adolescenti sono davvero tutti possibili Hikikomori?

Nessun mese poteva essere più triste di aprile da passare da soli. Tutti intorno a me smbravano felici ad aprile. mettevano da parte i cappotti, si fermavano a chiacchierare sotto i raggi brillanti del sole,giocavano a lanciarsi la palla col guantone da baseball, si innamoravano. Ed io ero completamente solo. ( Murakami Haruki, Norwegian wood) 



In alcuni casi, proprio l’attuale situazione di isolamento forzato può aver alleggerito e protetto  molti adolescenti dalle loro “imperfezioni” e dal peso dei loro sentimenti di inferiorità. Mi riferisco in particolare a tutti quei ragazzi che proprio ora sembrano  rivivere paradossalmente con maggiore tranquillità la quarantena proprio perché  è  mancato  quel confronto paralizzante e frustrante con il reale rendendolo, cosi neutralizzato, più docile, piacevole e sopportabile. 

A tal proposito mi preme richiamare il fenomeno degli adolescenti ritirati, i cosiddetti Hikikomori, per fare un distinguo e una precisazione  importante fra la nostra condizione di isolamento e quella che accompagna invece il vuoto e la solitudine di quest’ultimi. Negli ultimi giorni si è spesso paragonato ERRONEAMENTE la  condizione di reclusione forzata dei ragazzi a quella vissuta  dai ritirati sociali. Un errore questo che va spiegato e manovrato con maggiore cautela per non dilagare ulteriori inesattezze e confusioni che alimentano inutilmente caos e ansie già presenti nei nostri giorni.

L’emergenza in cui siamo inseriti oggi ci costringe si a limitare le uscite, a rimanere chiusi per la maggior parte del tempo nelle mura domestiche e a metterci maggiormente a contato con il nostro vuoto e con la nostra solitudine. Ma non è esattamente questa la condizione di chi invece decide VOLONTARIAMENTE di ritirarsi dal mondo. Ci sono infatti molte differenze  individuali e sociali tra le due condizioni.

In primis il fatto che, gli Hikikomori,  “scelgono volontariamente”  e non forzatamente di ritirarsi dal mondo. Questa scelta è causata da una sofferenza interna silenziosa che non può inoltre essere slegata da quei valori e da quel tessuto sociale in cui vivevamo fino a pochi giorni fa. Gli Hikomori infatti, sono adolescenti che nella maggior parte dei casi, ( il fenomeno nasce non a caso in Giappone e si propaga a macchia d’olio nelle società più industrializzate), si difendono  nel profondo  da ferite narcisistiche, da pressioni e aspirazioni prestazionali molto elevate da cui cercano di salvaguardarsi con atti violenti autoindotti e autodiretti. La loro è infatti una forma di violenza  invisibile indirizzata verso se stessi, verso  il proprio corpo e la propria vita privandola di contatti con il mondo esterno. L’Hikikomoro è dunque un adolescente che non è riuscito a trovare percorsi alternativi rimanendo fedelmente  ancorato  al proprio sentimento di inferiorità. Il distanziamento sociale che si è volontariamente edificato è dunque uno scudo potente e auto aggressivo che lo salvaguardia dai pericoli insiti nell’incontro con l’altro e con il mondo esterno minandone  radici del sentimento sociale e  capacità di cooperazione. Non dunque una scelta “sofferta e forzata” come quella che vivono altri  adolescenti,  più tristi e isolati , ma più equipaggiati e fortunati.

Ciò detto, certamente non possiamo non prendere in considerazione che l’isolamento è un rischio che può estendersi e  dilagarsi anche ad altri ragazzi già di partenza più inclini e  più suscettibili al fenomeno rispetto ad altri. Faccio per esempio riferimento a tutti quelli adolescenti che già prima della diffusione del virus cercavano in tutti i modi di contrastare questo impulso e che, ora, si sentono ulteriormente vittime degli eventi. 

Occorre allora essere più scrupolosi per individuare e segnalare con maggiore esattezza quali  potrebbero essere i possibili e reali  campanelli d’allarme  prima di generalizzare ed estendere il rischio del fenomeno “HIkikomori” a tutti gli adolescenti che oggi si ritrovano reclusi coercitivamente nelle loro dimore.

È  responsabilità di NOI CLINICI  e non di ciarlatani mediatici improvvisati, essere in grado di discriminare le diverse situazioni di rischio. 

Tali elementi critici sono il prodotto di un intreccio complesso di dinamiche e variabili che, allo stato attuale, certamente influiscono maggiormente  nell’evoluzione del ritiro. Prendiamo in esame, per esempio, la famiglia: nell’Hikikomori le famiglie sono, principalmente, iperprotettive. I bisogni dei ragazzi vengono tendenzialmente anticipati, le frustrazioni evitate, i tentativi di autonomia boicottati in modo più o meno esplicito. In presenza di tali fattori il restare 24h su 24 a contatto con la propria famiglia quando, fino ad ora, si cercava in ogni modo di sfuggirvi può allora diventare una reale fonte di pericolo!

Ciò detto mi preme infine sottolineare che, pur avendolo scelto volontariamente, gli hikokomori non sono immuni dalle conseguenze dell’isolamento: tristezza, paura, angoscia, depressione, rabbia sono vissuti ampiamente presenti e già, rispetto ad altri, sperimentati.

Questa situazione di reclusione può allora diventare per tutti noi un ulteriore occasione  per superare  pregiudizi e  stereotipi, attraverso una identificazione che ci permetta, finalmente, di comprendere in pieno questo fenomeno e trovare, dopo averlo sperimentato sulla propria pelle, ulteriori strategie di intervento più funzionali per arginare e prevenire gli effetti. Come ha ben sottolineato Lancini in un suo recente intervento telematico, è difficile inoltre pensare che i veri Hikikomori, sebbene alleggeriti in questo periodo dal peso del reale possano, al contrario di altri adolescenti più inibiti ma non patologicamente ritirati, tornare ad affacciarsi al mondo reale ora che il corona virus può  averli fatti sentire più simili e  vicini nella condizione di isolamento a tanti altri coetanei. Le possibili evoluzioni di questo fenomeno andranno dunque vagliate con cautela nei prossimi giorni aprendoci a nuove possibilità  per possibili scenari futuri.

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